Puntini sulla mappa da unire per trarne soluzioni – La poesia di Marco Di Pasquale in Il fruscio secco della luce


Sorry, this entry is only available in Italian. For the sake of viewer convenience, the content is shown below in the alternative language. You may click the link to switch the active language.

di Valerio Cuccaroni e Natalia Paci

Per Marco Di Pasquale la vista è il senso principale attraverso cui conoscere e interrogare la realtà circostante, come dimostra l’alta frequenza delle parole occhi, palpebre, luce e buio, sin dal verso che dà il titolo al libro (cfr. Accettare l’inverno p. 33). Una vista, però, non intesa nella sua accezione più “utilitaristica” quanto piuttosto “meta-fisica”: il poeta vuole guardare oltre ciò che effettivamente si vede. Sono, infatti, paradossalmente, proprio gli occhi miopi (al buio scompare, p. 18) o addirittura la cecità (p. 11) la condizione in cui vedere meglio (non a caso, per Di Pasquale, «gli occhi si incamminano», p. 21), «filando teoremi» per «scovare significati», «captare a tempo l’antidoto» (fino a cecità, p. 11).

Questa vista ai raggi x, secondo i dettami della matrice simbolista che sostiene il libro, è capace di cogliere le correspondance tra colori, suoni e profumi, come già in Baudelaire, per cui la figura retorica prediletta dall’autore non può che essere la sinestesia, presente in tutto il tessuto poetico dell’opera, a partire dalla doppia sinestesia del titolo. Inoltre, il magistero del padre fondatore della poesia moderna appare in controluce in varie figure che punteggiano Il fruscio secco della luce: gli zingari, le vie chiassose, ecc. Non a caso un verso della baudelairiana poesia Bohémiennes en voyage (Zingari in viaggio) dà il titolo al laboratorio poetico in cui si è formato Di Pasquale: “La tribù dalle pupille ardenti” (tribù prophetique aux prunelles ardentes) organizzato dall’Associazione maceratese Licenze Poetiche.

Seguendo il solco della tradizione simbolista, Di Pasquale si prodiga in un gioco di analogie, a volte estenuante, che procede per “illuminazioni”, per “folgorazioni”, secondo il metodo dell’associazione libera, con metafore che si rincorrono, susseguendosi una dopo l’altra, in un percorso a spirale che, forse, vuole essere consapevole trascrizione del linguaggio dell’inconscio, canale privilegiato di conoscenza per ogni buon surrealista. Di Pasquale si protende così alla ricerca di soluzioni imprevedibili: i suoi versi vogliono essere “puntini sulla mappa da unire e trarne soluzioni” (p.20). Egli non pretende di imporre al testo un significato proprio, preferisce aspettare, provare a scoprirlo in un momento successivo, affidando a se stesso il ruolo di spettatore curioso della propria poesia.