Una nota a “Il fruscio secco della luce”


di Manuel Caprari

Questa che vi accingete a leggere è la prima raccolta poetica di Marco di Pasquale. Per chi non lo conoscesse già, una promessa. Per chi lo segue da anni, per reading, poetry slam, blog e così via, una promessa ampiamente mantenuta. E la prima cosa che colpisce è la coerenza e la solidità dell’ispirazione e del linguaggio, dal primo all’ultimo verso, di questa che non è una semplice giustapposizione di testi ma una vera e propria opera poetica.
Opera poetica densa, concreta, materica, e per questo estremamente radicata nello spirito della terra d’origine dell’autore, quelle marche del sud da qualcuno “simpaticamente” ribattezzate “marca sporca” (e a cui il sottoscritto, sia detto per inciso e a scanso d’equivoci, appartiene orgogliosamente, anche se per adozione e per corrispondenza d’amorosi sensi e non per anagrafe); la marche del sud più che una zona geografica sono un moto dell’animo, un approccio alla vita, un luogo dello spirito, che si riflettono nella pastosità del linguaggio e che Di Pasquale interiorizza e intellettualizza, non per spocchia ma per vocazione. Come a dire: una poesia ardua, a volte difficile da decifrare, che di primo acchito appare chiusa come un’ostrica (lo stesso autore sembra avvertirci nel prologo: “concentrazione ci vuole/ a scovare significati”); ma per il semplice motivo che non si intende sottrarre al lettore la sfida e il piacere di aprirla e trovarci dentro cascate di perle.
Queste poesie disegnano un’umanità bloccata, incatenata, repressa, calata in una realtà che sembra respirare al posto suo. Come fossimo diventati sordi al richiamo della vitalità in piena che permea tutto ciò che ci circonda, e che dovrebbe, per inevitabile forza di propulsione, travolgerci; invece no (“la meraviglia però non ci sfiora / ed il sole ci corrode ancora”); ci trova immobili, cristallizzati, congelati nel nostro vivere quotidiano svuotato di ogni senso, ridotto a una meccanica coazione a ripetere che forse, in una certa misura, ci autoimponiamo (“l’autobus del mattino/ riscuote presto i debiti/ di sonno agitato/ grattato da sotto gli angoli/ avanzati dal lavoro”; “stavolta le mura quotidiane/ vorrebbero imporre la loro pressione:/ produci consuma crepa).
Come si sfugge a questa impasse esistenziale?
Prima di tutto rifiutando la nostalgia e vivendo pienamente il presente (“è ferita viva il ricordo/ che rigenera maledizioni”; “non c’è lacerazione/ o nostalgia/ purché gli occhi appartenuti a ieri/ accettino l’incontro”); e poi rimpossessandosi della piena potenzialità della parola di penetrare la realtà (“la parola si aggira per vicoli/ segnando gli angoli/ marcando paracarri/ gettandosi alle spalle la salsedine/ asciugando lo stomaco rovente/ cantando le brume del mattino”). Infine, accettando di amare e di essere amati, nella totale e incondizionata accettazione reciproca, senza infingimenti (“l’amore è sempre lì/ che agglomera e distribuisce/ che restituisce tasselli di respiro”; “il rimorso di aver teso la mano sbagliata/ forse svanisce in fretta, neanche marcisce/ e l’alba lo cancella nel sorriso/ sottile di lei/ sveglia/ a contarti i respiri”).
Si avverte un profondo legame tra questa ricerca esistenziale e la ricerca stilistica ed espressiva, l’una è rifrazione ed esplicitazione dell’altra, senza soluzione di continuità, e questo legame, sempre sotteso, si palesa in alcuni dei versi più emozionanti dell’intera raccolta: “ti offro parole/ invece di sogni/ più concrete da masticare/ e sentirti salda/ distrattamente felice”.
Il fruscio secco della luce è un atto di fede verso la forza della parola. Forza non solo evocativa, ma agglomerante, inebriante (e sarei quasi tentato di azzardare un “rivoluzionaria”): in uno di quei sublimi momenti di temerario slancio che riescono bene solo a chi ha piena padronanza dei propri mezzi artistici, Di Pasquale forgia due dei suoi versi più felici e pregnanti: “Un giorno le nostre parole/ ubriacheranno Dio”. Chissà, magari sì. Nel frattempo, lasciatevi ubriacare voi. E che possiate non smaltire mai i postumi.
Buona lettura, o buona rilettura